scrivere cosa e per chi. scrivere per sopravvivere non esiste. esiste scrivere per essere ciò che si è. scrivere perchè qualcosa non ci sta più. scrivere perchè sì, senza domande ne scuse, senza giri di parole, senza punti ne mezze verità, senza silenzi, senza spazi senza virgole senza punti. così.
papà dove vai? papà il cavallo sta bevendo dal pozzo, e torna sempre quella parola, Pozzo. papà salvalo!, arriva l’asino e pure lui cade nel pozzo. tutti nel pozzo. poi il leone che ha la criniera dritta dalla rabbia perchè suo figlio non obbedisce e fa sempre di testa sua. esiste che io stia seduto di fronte a mio figlio e giochi con lui. quello esiste. quello è vero e quello scrivo. il leone che salva suo figlio dall’annegamento esiste, esiste perchè io mi tuffo e lo salvo. tutto vero. io mi butterei nel pozzo per salvare mio figlio, senza pensare lo farei, ci sono poche cose che farei senza pensare, pochissime. le mie dita ora camminano in bilico sul piatto, giulio ride perchè cado su una fetta di prosciutto. giulio non sai quanto male ho dentro. non lo immagini neanche, non lo puoi neanche immaginare quanto il tuo papà sia stato umiliato nei sentimenti, nel cuore, nei sogni. possibile che tu non mi veda?, che tu non mi senta?, possibile che tu non veda il tuo papà annegare? possibile che io sia così bravo a sorridere piangendo. mi si riempiono gli occhi di lacrime e sgocciolo sul piatto tra un sorriso e un respiro profondo. è possibile?, si è possibile e allora lo scrivo.
giulio passa il tempo e il tuo papà diventa grande, tu diventi grande, passano i giorni e tu diventi più forte, tutti lo diventiamo...io ho smesso di vivere. per un po’ ho smesso di vivere per me e ho vissuto solo per te, ho cercato di tenerti in piedi nei primi passi, ti ho spinto a terra per poi farti rialzare, ti ho pensato tanto nei giorni in cui ero per forza lontano da te, ho scritto di te, ho scritto e disegnato i tuoi occhi. intanto i cavalli diventavano zoppi, le macchinine perdevano le portiere, i pesci non stavano più a galla e i palloncini si sgonfiavano. tu hai smesso di andare a gattoni e hai consumato le scarpine rosse e poi quelle gialle.
ho vissuto tutto, tutto dentro le mie sbarre e di tanto in tanto una scala da lavare mi riportava fuori dalla tana, vetri da far splendere, maglioni da piegare, padelle da sciacquare detersivi da far diventare bolle in un secchio...e via di mocio vileda. ho pulito la scala, la mia scala e quella degli altri e non sai quante volte ho trovato cicche spente nel sottoscala, nascoste, finite a terra da chissà quale mano. quante volte la mattina mi sono svegliato cercandoti nel cuscino a fianco al mio. tutto si mescolava e tutto era tanto, tutto. cercavo di farlo piccolo ma diventava sempre di più, una sull’altra si ammucchiavano le mancanze, le privazioni, gli svaghi, i sorrisi hanno lasciato il posto alle lacrime. tante volte ho sbattuto la testa sul vetro della doccia. tente volte ho fatto la doccia alle quattro di mattina per farmi scivolare via il male di dosso. tante docce, tanti disegni, tanti sogni, tanti baci, tanti abbracci e poco spazio.
lo spazio si è via via ristretto quasi sparito, ho chiuso porte portoni finestre e balconi. tutto. ho chiuso gli occhi e sperato di dormire e invece dovevo stare sveglio e lavorare, soldi da guadagnare, affitto e bollette da pagare, spesa da fare, e un freno a mano che ad un cero punto della mia vita ho smesso di tirare...così ho trovato la macchina in mezzo alla strada più di una volta. anche la macchina ho lasciato andare, anche quella insieme ai ricordi che tenevo nel baule. racchette da ping pong, fresbee, carte da ramino e da pinnacolo, libri, fogli, il passeggino e la palla. tutto.
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